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Tanzania. Marangu e Tarangire National Park

Il primo giorno si passa sempre in viaggio. Sali e scendi dai mezzi di continuo, che si sa è la cosa che preferisco, dato il mio 'mal di tutto'. Tratto in macchina una passeggiata, alla fine del primo volo sono già un pochino insofferente, l'attesa a Istanbul poi è infinita. Sette ore sul secondo volo. è mezzo vuoto, mi fiondo subito su dei sedili liberi, mi approprio di cinque cuscini e altrettante coperte, mi costruisco una specie di lettone matrimoniale e do la buona notte a tutti. Risultato: me ne sto sdraiata iper-comoda per tutto il viaggio e non riesco a dormire manco 5minuti. IL NERVOSO.
Arriviamo in Tanzania, hanno perso un bagaglio. Gran fortuna. Compila pratiche, chiedi all'autista impaziente di aspettarti. Carica il pullmino. Altre due ore di viaggio. Che poi sono quelle che mi stendono. Il pullman alla fine di una giornata passata sui mezzi è veramente devastante. 
Arriviamo al nostro alberghetto alle 4 di notte e io sono uno straccio. Ho 4 ore di sonno prima della sveglia. Mi imbottisco di Ibuprofene e chiudo gli occhi, in cinque minuti sono nel sonno più profondo mai provato, una goduria.
Per il nostro primo giorno siamo alla falde del Kilimanjaro (dei Watussi non si hanno notizie, ndr) e una guida locale ci porta a fare un giro tra piantagioni di banane e caffè, villaggetti locali, cascate e tanta, tanta natura. Tutto sommato un giro interessante, soprattutto perchè riesco a parlare con la guida che mi racconta un po' come funziona la vita in Tanzania...i racconti dei locali sono la parte dei viaggi che preferisco. 





Ci racconta di stregoni, di riti propiziatori e di sacrifici, del passato e del presente della sua tribù, delle loro credenze e del loro modo di vivere. Mi fa sempre un po' strano il forte contrasto tra queste culture lontane anni luce dalla nostra e il fatto che comunque abbiano in mano cellulari di ultima generazione o parlino più lingue della sottoscritta (e spesso un inglese migliore di tanti italiani).




La camminata è più lunga del previsto, la risalita finale dalle cascate vale quanto mezza giornata in palestra, la strada per tornare in albergo sembra infinta. FAME.
Ecco la cucina tanzana non è proprio la migliore al mondo. Per lo più la nostra vacanza è andata cosi:
colazione a base di uova e fette di pane chimico con marmellata. Caffè, cioccolata, latte...tutto in polvere. Una delizia.
Pranzo (spesso al sacco) a base di cose fritte. Panzerotto fritto con verdure varie (ma sempre immancabili peperoni e cipolle, per star leggeri), pane fritto (...), uovo sodo, pollo fritto, muffin alla banana, biscotti confezionati, frutta varia.
Cena con immancabile zuppetta di verdure (varie, ma sempre con lo stesso sapore), riso, carne, qualche verdurina, frutta.
Negli ultimi anni devo dire che sono migliorata parecchio sotto questo punto di vista...o forse peggiorata, a seconda. Ho ampliato decisamente la gamma dei cibi da considerare commestibili, che una volta si limitava a tre cosine misere e ora invece comprende pure troppo. Chi mi conosce lo sa: mangio a qualsiasi ora del giorno. E quindi si, sono riuscita ad ingrassare anche in Africa con questo delizioso cibo tanzano. Te pareva.
Facendo un passo indietro: il pranzo del primo giorno, dopo la sfacchinata di quattro ore, era davvero triste e misero e ci siamo quindi ridotti a chiedere in elemosina delle fette di pane confezionato. Qualcuno è arrivato a fare dei sandwich con del ketchup, per darvi un'idea.





15 agosto: primo giorno di safari. 
Ce la prendiamo molto comoda in mattinata, il cuoco deve fare la spesa e si dilunga parecchio, gli autisti poi ci mettono una vita a caricare tutto sulle jeep, il gioco di incastri è più complicato del previsto. Ce la facciamo, si parte.
Il primo parco che visitiamo è il Tarangire, non troppo lontano da Arusha. Si aprono i tettucci delle jeep, ci si arma di binocolo e macchina fotografica, il cuore batte più forte del previsto. Si entra.

Un’antilope. Uno gnu. Pochi metri più in là: la prima giraffa. Mi si appanna la vista. Un’emozione immensa, non controllo i singhiozzi, mi nascondo dietro agli occhiali da sole. Fortunatamente avevo avvisato i miei compagni di viaggio di questa mia incapacità di controllare le lacrime.
Scatto foto senza vedere bene cosa sto inquadrando (e infatti sono tutte sfocate). 





Arrivano un sacco di zebre e tantissimi gnu. 




Giusto il tempo di riprendermi un pochino e inaspettatamente, a dieci minuti dal nostro ingresso: i leoni. 




Ok, leonesse, ma tant’è. Gattoni che si rotolano nella sabbia, incuranti del nostro passaggio. Una meraviglia.
Incontriamo anche i Pumba e un bel gruppetto di elefanti. Poi il primo tramonto nella savana.









Come primo giorno non c’è male.

Inizia la lunga settimana di campeggio che in Tanzania, durante un safari, non è proprio una passeggiata. Oltre alla menata di montare e smontare la tenda ogni singolo giorno (cosa che ormai faccio a velocità supersonica anche ad occhi chiusi), a parte la sveglia alle 5 di mattina, i bagni che son quel che sono, la doccia fredda, il freddo notturno, la possibilità di incontrare animali di vario genere, qualche cena per terra e qualche altra a lume di torce frontali…il vero problema del campeggio durante il safari è che sei sporco. SEMPRE. No matter how many docce ti fai, how many confezioni di salviette umidificate fai fuori…lo strato di terra che ti ricopre lì è e lì rimane. Quando poi inizi a snobbare la doccia nonostante i capelli impagliati stiano in piedi da soli: oh, ti sei ambientato. 

E comunque...loro ti ripagano di tutto.







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