Rientro da
Cuba con mille immagini e pensieri che mi rimbalzano in testa.
Mi sono presa
una settimana per cercare di fare un po’ di ordine ma non ci sono mica tanto
riuscita.
Com’è stato?
Bello, bellissimo. E forte. E contradditorio.
È stato paesaggi meravigliosi e
sorrisi e giri di salsa ad ogni angolo. Ed è stato un pugno allo stomaco, un
senso di colpa costante.
Siamo nati dalla
parte giusta del mondo, quella in cui si ha il bene piú prezioso di tutti: la
libertà.
La libertà di essere e fare ciò che si vuole, la libertà di avere
aspirazioni e poterle raggiungere, la libertà di viaggiare e conoscere e
toccare con mano quello che c’è là fuori.
Cuba non è la
povertà assoluta, la guerra, la lotta per la sopravvivenza.
Non è una realtà
così distante dalla nostra da non essere immaginabile o concepibile. La gente
ha l’indispensabile per sopravvivere – un tetto sopra la testa, acqua potabile,
razioni di cibo. Sanità e istruzione sono gratuite, il livello di laureati è
piuttosto alto. Vestono come noi, ascoltano la stessa musica, escono per un
mojito la sera con gli amici. Lavorano durante il giorno, quando ne hanno la
possibilità.
Ma i salari sono
ridicoli e l’offerta di beni per noi scontati è scarsissima se non nulla.
I cubani devono
fare i salti mortali per comprare pannolini, antibiotici, spazzolini da denti.
Non esistono posti in cui acquistare automobili o biciclette. La comunicazione è
controllata e internet è praticamente inesistente. Da pochi anni è permesso avere
un telefono cellulare, ma le tariffe sono folli e proibitive. Non possono
viaggiare al di fuori del paese, se non grazie all’invito ufficiale di qualcuno
e a puntigliosi controlli finanziari da parte dei consolati.
Quando parli con
la gente del posto, sempre sorridente, che con occhi sognanti ti chiede ‘ma quanti cellulari ci sono in un negozio
di elettronica?’ ‘ma sono tutti nuovi?’ ‘e perché comprate l’iphone 6 se il 5
funziona ancora?’ non puoi far a meno di provare una fitta allo stomaco e
sentirti uno schifo.
Noi, che abbiamo tutto e ci lamentiamo di tutto.
Insomma: non
troppo diversa, ma lontana anni luce.
E proprio durante
il nostro ultimo giorno di viaggio c’è stata la stretta di mano tra Raul e
Obama.
‘Speriamo’ è stato il commento
della nostra guida. Sperano di veder cambiare Cuba per i cubani.
Sul cambiamento
non ci sono ormai dubbi. Quanto alle modalità, mi auguro che si abbia rispetto
per la popolazione locale, pur sapendo che, ahimé, si guarderà agli interessi
economici e politici prima di tutto.
Brevissime
riflessioni che avevo bisogno di mettere nero su bianco, senza entrare troppo
nel merito di questioni politiche e sociologiche di cui capisco molto poco.
Ciò detto, posso
iniziare a scrivere del nostro tour cubano, di un viaggio di dieci giorni tra i
colori e i sapori di questa isola che mi é piaciuta da impazzire e delle
persone MERAVIGLIOSE (M-E-R-A-V-I-G-L-I-O-S-E) con cui ho avuto la fortuna di
condividere quest’esperienza. È proprio vero: quando meno te lo aspetti...
Si parte da La
Habana, nel prossimo post J
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