Se già su Palas de Rei c’era poco da dire, su Arzua e O
Pedrouzo c’è ancora meno.
Per altro, è ormai passato un mese, cosa mai potrei
ricordarmi? Foto alla mano, sto cercando di fare mente locale.
Allora, di sicuro nel percorso tra Palas de Rei e Arzua
abbiamo passato il 50esimo chilometro. E questo me lo ricordano due foto: la
prima, quella qui sotto, con la sottoscritta in tutto il suo splendore, stile
zingara dai vestiti fluorescenti; la seconda molto simile, ma c’è la mia amica
con me…foto che non vi mostreremo perchè fatta da un tale che probabilmente non
aveva mai visto una macchina fotografica in vita sua e vi assicuro è riuscito a
fare una foto peggiore di quella che avrei fatto io. Il che, viste le mie
capacità fotografiche, è tutto un dire.
Abbiamo camminato parecchio in mezzo al verde, a quanto
pare.
Questa costruzione qui sopra con la porta verde è uno dei
tipici horreos, che all’alba del quarto
giorno abbiamo scoperto essere il luogo dove veniva conservato il granoturco –
in Galizia se non ne hai uno, sei out.
Ci siamo anche fermate in una chiesetta in cui il presunto
prete ci ha accolte con dei biscotti (subito accettati!) e ci ha dato
informazioni dettagliate sugli interni e sulla Madonna della Neve, a cui la
chiesa era dedicata. In questa occasione mi viene fatto notare che le Madonne
nelle chiese della Spagna hanno sempre una parrucca, probabilmente con l’intenzione
di renderle più ‘reali’, sicuramente con l’effetto di renderle più inquietanti.
L’arrivo ad Arzua è stato particolarmente sofferto: ad un
certo punto siamo arrivate in un paesino carino, con il sole, un bel prato, la
gente che pucciava i piedi in un ruscello – una goduria, dopo 5 ore di camminata!
Raggiungiamo anche l’albergue Los Caminantes, quello che abbiamo prenotato, proprio
vicino al fiumiciattolo, ma…siamo nel paese sbagliato! Ci sono due albergue con
lo stesso nome e il nostro è nel paese successivo…a due chilometri e mezzo! In
un attimo tutto svanisce: non siamo arrivate, non stiamo per pucciare i piedi
nell’acqua fresca, non stiamo per buttare a terra lo zaino, farci una doccia e
azzannare qualcosa di commestibile.
Sono stati i 2,5 km più lunghi della mia
vita alla fine dei quali, per altro, siamo arrivate in questo paesino
sfigatissimo composto da una strada e qualche bar e l’albergue è stato il
peggiore del Cammino.
Un panino Jamon y Queso per riprendermi, grazie.
Il giorno successivo si ripete una scena simile: passeggiata
di qualche ora alternando prati verdi a tratti di strada asfaltata, mucche qua
e là, boschi di eucalipti, freddo, caldo, forse piove, no c’è il sole…cammina
cammina arriviamo in questo paese in cui c’è una sorta di residence
meraviglioso, di quelli con il prato verdissimo e perfetto, le indicazioni per
la piscina dall’altra parte della strada, intorno il bosco…e ahimè anche
stavolta siamo nel posto sbagliato. Camminiamo ancora un po’ e arriviamo in questo
paesino super-iper-sfigato: destinazione, yeah.
Il nostro albergue apre alle 12
e noi ormai super-allenate siamo arrivate troppo presto…ci dirigiamo verso la
chiesa per il timbro giornaliero, ma è chiusa anche questa. Un paese super-attivo,
insomma.
A suo favore, posso dire che l’albergue era piuttosto figo, tutto
nuovo, la tizia parlava anche un briciolo di inglese. Albergue Cruceiro de Pedrouzo consigliato!
Ci siamo poi ovviamente riprese subito con un bel pranzo –
la mia amica ha finalmente preso il famoso polpo galiziano, mentre io, che non
mi smentisco mai, ho preso un piatto schifosissimo con carne, uova, patatine e
crocchette di patate. Ero provata, dai.
Se non ricordo male, l’unica attività del pomeriggio è stata
una passeggiata fino al supermercato, oltre ad una doccia con acqua bollente
durata tipo mezz’ora.
Direi che foto simbolo non ce ne sono per questa ultima
tappa, ma posso fare doppietta nel prossimo post: finalmente si arriva a
Santiago!
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